Il tempo è adesso
Il luogo un’azienda qualsiasi, potrebbe essere la tua. 
Il protagonista è Paolo, ma potrebbe essere chiunque di noi…

Paolo è un manager di successo, o almeno lo è stato fino a 3 anni fa. 34 anni, un ottimo stipendio e il ruolo di Sales Leader in una multinazionale che vende servizi di consulenza.

Ha iniziato 11 anni fa dal basso, nelle vendite, e i suoi successi l’hanno portato in fretta a scalare la gerarchia aziendale grazie alle sue competenze tecniche, all’etica del lavoro e all’approccio creativo alla risoluzione dei problemi. 

Stipendio e inquadramento hanno seguito l’ascesa aziendale. Dopo 4 anni è diventato leader di un team di sette persone. Da 3 anni, però, la sua carriera ha rallentato: ha avuto aumenti insignificanti e non ha più la visibilità e i riconoscimenti cui era abituato. Lavora 10/12 ore al giorno, ma non riesce a fare il salto di carriera che si aspetta. Porta risultati, ha idee interessanti e innovative, ma non riesce a compiere il salto definitivo.

Presenta i propri progetti in riunioni con i pezzi grossi (Direttore Sales, Marketing, a volte anche CEO), ma tutte le volte lascia la sala con la sensazione di non essersi spiegato come avrebbe voluto. E infatti le sue idee vengono accantonate spesso, ed è un vero peccato perché Paolo è sicuro che porterebbero un aumento di fatturato e un nuovo modo di lavorare, oltre che quei riconoscimenti che si aspetta da tempo.

Le persone del suo team lo stimano professionalmente e umanamente, ma anche qui ha la sensazione di non riuscire mai a coinvolgerli e motivarli al 100%, e tra obiettivi di vendita sempre più sfidanti e pressioni da Casa Madre questa mancanza di spinta sta diventando un problema.

In 11 anni passati in azienda Paolo ha costruito buone relazioni, ha perfino trovato degli amici. Uno di questi è Andrea, brillante informatico che dopo aver ricoperto vari ruoli di rilievo nell’IT sta per diventarne il capo a soli 35 anni. Paolo e Andrea sono entrati in azienda nello stesso anno, ma Andrea sta avendo una carriera molto più rapida. Paolo stima molto il suo amico, ma reputa di non essergli da meno, tuttavia la sua carriera stagna e vive la frustrazione di non esprimere appieno il suo potenziale. 

Una sera Paolo e Andrea fanno tardi al lavoro e decidono di uscire a cena. Dopo un paio di birre, Paolo prende il coraggio e chiede all’amico che cosa ha fatto lui per arrivare così in alto e così in fretta, mentre lui sembra fermo e con poche prospettive. ”Andrea, scusa la domanda, ma è da un po’ di mesi che ci penso. Siamo entrati in azienda insieme, eppure tu hai fatto una carriera incredibile, mentre a me sembra di essere fermo. Ti stimo come professionista e come amico, so che sei molto intelligente, i tuoi riporti ti adorano e sei visto benissimo all’interno dell’azienda. Nonostante questo, non credo di essere da meno e continuo a chiedermi che cos’hai tu che io non ho”. 

Andrea alza lo sguardo dalla sua birra, sorride all’amico in modo sincero e risponde: “non credo di avere nulla in più di te amico mio. Sei brillante, un gran lavoratore e hai idee molto valide”. Allora come mai tu sarai nominato capo dell’IT mentre io sono ancora un middle manager? Continua Paolo. Andrea riflette per qualche istante e poi inizia, vedi Paolo, come te io mi sono specializzato nei temi tecnici della mia materia. Oltretutto l’IT è un settore in forte sviluppo e stare al passo con le evoluzioni tecniche è fondamentale.

Quando sono diventato manager, come te, ho frequentato i programmi di formazione aziendale per imparare a essere bravi capi, valutare correttamente i nostri collaboratori e motivarli. Abbiamo seguito anche corsi di negoziazione e vendita, ricordi come ci siamo divertiti? Paolo annuisce mentre Andrea continua, come la maggior parte dei manager ci siamo specializzati, formati e provati sul campo. Pensavo di aver fatto tutto quello che dovevo fare per diventare un manager e un leader di successo. Poi, 4 anni fa ho visto su YouTube un video di Warren Buffet – il genio della finanza americana. 

Buffet suggeriva a dei ragazzi di coltivare le loro doti di public speaker perché sarebbe stato fondamentale per la loro carriera come lo era stato per la sua. Non riuscivo a togliermi dalla mente quel consiglio. Perché Warren Buffet, uno degli uomini più ricchi e intelligenti della terra, specializzato in acquisizioni e complesse operazioni di borsa, un mostro di technicalities, consigliava a dei giovani di studiare una materia così evanescente come il public speaking e non ingegneria, economia, statistica o altro? 

Ci ho pensato e ripensato finché non mi è arrivata un’illuminazione. Quale? Chiede Paolo ansioso di conoscere la risposta. Ero in riunione con altri dipartimenti IT, prosegue Andrea, e un collega stava presentando un nuovo progetto. Una barba di presentazione che non finiva più, piena di grafici e numeri. Nella noia del momento ho iniziato a guardare gli altri partecipanti e ho visto che tutti erano distratti. In quel momento ho risentito il consiglio di Warren Buffet e ho capito. Cosa? Incalza Paolo sempre più curioso.

Ho capito che il mio collega poteva avere il progetto più innovativo del mondo, ma quella presentazione l’avrebbe affossato. Per questo Warren Buffet dedica tanta attenzione al public speaking. E cioè? domanda Paolo. Nessuna buona idea sopravvive a una presentazione di merda, sentenza Andrea. Puoi essere il più preparato, il più bravo, il più geniale dei manager, ma le tue idee passeranno sempre al vaglio di altre persone, siano esse i tuoi capi o i tuoi collaboratori. Se non sei bravo, anzi più che bravo, a coinvolgere il pubblico e a vendere i tuoi progetti sei destinato a fallire. 

Scusa, ribatte Paolo, ma questo cosa c’entra con la carriera che hai fatto? C’entra eccome, risponde Andrea. Dopo quella riunione ho deciso di capire se presentavo bene o no. Tu sai che chiedo sempre feedback ai miei riporti sulle presentazioni, ma tutte le volte avevo la sensazione che non fossero sinceri al 100%.

Pensaci, quanto sei disposto a dare un feedback sincero a un tuo capo in tema di public speaking? Beh, in effetti non molto, risponde Paolo. É cosi Paolo, non lo fai perché sei falso, ma perché non vuoi ferire una persona. Pensi che dando un feedback negativo, magari dicendo che la presentazione è confusa, il tuo capo si offenderà o ci rimarrà male. Quindi dici sempre che la presentazione è andata bene. Paolo ci pensa su e in effetti ricorda che i suoi riporti non gli hanno mai detto che poteva presentare meglio un progetto. Al dubbio fa subito seguito una domanda: “e quindi come hai fatto a capire se presentavi bene?

Beh, in effetti non molto, risponde Paolo. É cosi Paolo, non lo fai perché sei falso, ma perché non vuoi ferire una persona. Pensi che dando un feedback negativo, magari dicendo che la presentazione è confusa, il tuo capo si offenderà o ci rimarrà male. Quindi dici sempre che la presentazione è andata bene. Paolo ci pensa su e in effetti ricorda che i suoi riporti non gli hanno mai detto che poteva presentare meglio un progetto. Al dubbio fa subito seguito una domanda: “e quindi come hai fatto a capire se presentavi bene?

Ho preparato una presentazione su un progetto IT che volevo proporre in azienda, ribatte Andrea, e ho chiesto a un mio amico che lavora nelle Risorse Umane di una grande banca di ascoltarmi e dirmi che cosa ne pensava della mia presentazione. Sarà andata benissimo, incalza Paolo, ti ho visto presentare un paio di volte e sei un mago. In realtà è stato un disastro risponde sorridendo Andrea. Il mio amico non ha capito il progetto e aveva l’espressione più confusa che avessi mai visto. Ma com’è possibile? Andrea tu presenti molto bene. Paolo allarga il sorriso e dice, tieni conto che era 4 anni fa e non avevo ancora lavorato su questo aspetto della mia preparazione. 

Ho chiesto un feedback sincero al mio amico HR che mi ha detto che la presentazione poteva anche essere perfetta per un pubblico di esperti informatici, ma che lui non aveva capito nulla. Troppi tecnicismi nel discorso che oltretutto aveva una struttura debole: non si capiva perché fosse importante il progetto e perché avrebbe dovuto interessarlo.

Alla fine, ha fatto una considerazione che mi ha aperto gli occhi. Mi ha detto: “sai Andrea, quando noi dobbiamo approvare un progetto importante per la nostra azienda – sia esso un progetto IT, Sales o Risorse Umane – è di solito riunito l’intero comitato esecutivo con il CEO, il capo dell’IT, del Sales, del Marketing, il Legal, ecc. Chi presenta in modo troppo tecnico ci complica la vita e la complica a sé stesso. Non abbiamo tempo di entrare nei dettagli tecnici, dobbiamo capire perché è utile realizzare quel progetto e che benefici porta all’azienda, quali problemi può risolvere. 

E siccome abbiamo tutti professionalità diverse, chi presenta deve illustrare i vantaggi per l’azienda, ma anche per ciascuno dei nostri dipartimenti. Il progetto deve colpirci e convincerci in pochi minuti. Gli aspetti tecnici e i dettagli vengono trattati in un secondo momento o in sotto-riunioni di dipartimento. Trattare l’argomento dal punto di vista tecnico è il modo migliore per far fallire la tua idea o il tuo progetto.

Questo commento mi ha colpito: non avevo mai pensato alle decisioni aziendali in questi termini. Paolo osserva Andrea con espressione concentrata e fa cenno all’amico di continuare. All’epoca, riprende Andrea, io presentavo per la maggior parte delle volte ai miei colleghi IT. Davo per scontato che i termini tecnici e la conoscenza della materia fossero comuni. E così era, in quelle presentazioni me la cavavo egregiamente. Ma presentavo anche progetti ad altri dipartimenti e ai capi di quei dipartimenti. Tutte le volte avevo la sensazione di non fare bella figura e il mio amico HR me ne ha dato la conferma. Quel suo nuovo punto di vista, però, mi ha aperto gli occhi. Ho capito che presentare bene era tutto un altro pianeta rispetto a quanto facevo io e che questo sarebbe stato vitale per la riuscita dei progetti di change management che volevo proporre in azienda.

Ti faccio un esempio, continua Andrea, a quante riunioni partecipi in una settimana? Minimo 4 o 5 risponde Paolo. E la maggior parte sono per decidere se fare qualcosa e come farlo, incalza Andrea? Si, conferma Paolo. Quindi è corretto dire che molte decisioni aziendali, la maggior parte, passano da una riunione?, chiede Andrea. Beh, direi proprio di si, conferma Paolo. E quante sono utili? riprende Andrea. Una, se va bene, sospira sconsolato Paolo. Perfetto, continua Andrea, e quante sono interessanti? Pochissime ribatte Paolo sempre più affranto. E perché così poche secondo te? chiede ancora Andrea. Paolo si concede qualche istante per riflettere mentre l’amico sorseggia con calma la sua birra in attesa della risposta. Credo perché sono tutte centrate sul presentatore non su chi ascolta, sentenzia infine Paolo, sembrano più un palcoscenico per l’ego di chi presenta piuttosto che una vetrina per le sue idee. 

Esatto, annuisce Andrea. E questo vale anche quando un fornitore esterno cerca di venderti un prodotto? Cavolo, si, risponde Paolo, mi ammorbano con le super caratteristiche del loro prodotto e non pensano mai a cosa serva a me, non me lo chiedono neanche. E il risultato è che li saluti con cortesia e non compri mai, giusto? Ribadisce Andrea. Sicuro, dice Paolo, li accompagno alla porta con un saluto e un arrivederci poco convinto. 

Lo stesso vale per i progetti che presenti, riprende Andrea, non li stai presentando, li stai vendendo, ed è sempre chi ascolta che li deve comprare. Da quel feedback di 4 anni fa ho deciso di lavorare non solo sulle mie competenze tecniche, ma soprattutto sul migliorare la mia abilità di presentatore. É logico che l’azienda mi valuti per le mie skill tecniche, continua Andrea, ma quello è l’ordinario, è ciò che si aspettano da me per la posizione che occupo. Chiamalo, se vuoi, il minimo sindacale. Ma quando presento un progetto di cambiamento, magari innovativo, è in quelle poche riunioni che faccio vedere quanto io valga per l’azienda. Sai benissimo anche tu che farsi dare dei soldi per un nuovo progetto è difficile. I budget sono sempre più risicati e le risorse vengono allocate con grande attenzione. Se un progetto porta vantaggi solo al mio dipartimento allora non l’approverà nessuno, ed è li che in passato fallivo. 

Da quando ho iniziato a affinare le presentazioni riesco sempre a evidenziare i vantaggi anche per gli altri dipartimenti, che sono il pubblico e anche chi ha il potere di allocare quei budget. Così, diventando un public speaker migliore, sono riuscito anche a fare approvare molti più progetti e di conseguenza a fare carriera. Stai dicendo che per fare carriera basta essere un bravo presentatore? incalza Paolo. No, risponde subito Andrea, presentare bene non è la condizione essenziale. Se i tuoi progetti e le tue idee fanno schifo non vedranno la luce anche se sei bravissimo a esporli. Devi avere le competenze tecniche, voglia, creatività ed etica. Ma anche quando hai l’idea più brillante del mondo, non la puoi realizzare da solo. Hai bisogno dell’ok dell’azienda prima e della motivazione del tuo team dopo. 

Certo, mi è chiara la parte dei capi, ma non afferro bene la parte dei collaboratori, chiede Paolo con interesse, visto che il tema lo tocca da vicino. Quando spieghi al tuo team, dice Andrea, un nuovo progetto, un cambiamento di processi, o un nuovo prodotto, il loro primo impulso è resistere al cambiamento. Quante volte hai presentato al tuo team un nuovo tool di vendita o un nuovo approccio al cliente e nei giorni dopo la riunione non è successo nulla. Hai dovuto rispiegare tutto daccapo per due o tre volte. Presentare meglio non garantisce che tu non debba lavorare col tuo team anche dopo, ma permette di partire col piede giusto e di aver una motivazione più forte verso il progetto nuovo. 

Se il team capisce il progetto – qual è lo scopo e perché dovrebbe farlo – allora la motivazione iniziale può essere il volano che spinge verso il cambiamento. Anche se poi non sono sempre rose e fiori, chiude Andrea, devi comunque lavorare molto con gli individui e le loro motivazioni personali, ma questo lo sai già.

Paolo annuisce pensieroso. Per qualche minuto rimane in silenzio assorbendo le informazioni, le assapora, le digerisce e ne capisce l’impatto sulla propria carriera. Un sorriso gli si stampa in volto, guarda Andrea negli occhi e gli chiede: ma come hai fatto a migliorare così tanto nel public speaking? Andrea ricambia il sorriso e risponde: non è una cosa che possiamo esaurire in una serata, ma se vai a prendere un altro paio di birre inizio a spiegartelo.